PER UNA CONVIVENZA PACIFICA

Sembra piuttosto pacifico, parlando oggi di diritti umani, fare riferimento anzitutto alla concezione che ne offre la Dichiarazione universale promulgata nel 1948 dall’allora neonata Organizzazione delle Nazioni Unite. Un documento che nasce dall’orrore per le atrocità totalitarie e la carneficina delle due guerre mondiali appena concluse, dal desiderio di mettere in atto ogni accorgimento, ogni strategia, affinché l’inimicizia e l’incomprensione tra nazioni non potessero mai più dare luogo a simili esiti.
È in quest’ottica che va letta la Dichiarazione, come il tentativo di affermare un nucleo di diritti umani universali, inalienabili e non soggetti a nessuna circostanza. Se è vero infatti che al fondo di ogni delitto c’è la disumanizzazione dell’altro – e che al fondo di ogni guerra c’è la disumanizzazione del nemico e la dimenticanza dei suoi legittimi interessi –, affermare universalmente che l’umano non può mai essere privato della propria umanità, porre questo principio e i suoi contenuti come uno stendardo continuamente posto davanti agli occhi del mondo intero, sembra davvero il tentativo più nobile che si possa fare per instaurare una convivenza pacifica e feconda tra i popoli.

UNIVERSALE O STORICA?

Ma se pacifico è il desiderio di porre un fondamento comune al consesso umano, di affermare la dignità e l’uguaglianza di ogni suo membro, meno pacifico è il tentativo di rispondere a che cos’è l’uomo senza incorrere in assolutismi o riduzionismi, e senza confondere fotografie concettuali e cristallizzazioni storiche con l’ontologia e la natura profonda di quello che infine resta un mistero a se stesso. Per quanto animata dalle migliori intenzioni, la Dichiarazione universale resta infatti un prodotto storico: nata in un determinato tempo, in seguito a determinate circostanze, e orientata da determinati riferimenti concettuali; su tutti, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, promossa a seguito della Rivoluzione francese del 1789, e il Bill of Rights, che nel 1791 ratifica i primi dieci emendamenti alla costituzione degli Stati Uniti d’America.
Non va inoltre dimenticato che le Nazioni Unite oggi contano 193 paesi aderenti, ma che quando fu promulgata la Dichiarazione universale ne contavano 58, dei quali 48 votarono a favore, 8 si astennero e 2 non parteciparono al voto. In second’ordine, il progressivo inasprirsi già dagli anni Cinquanta del conflitto tra blocco NATO e Patto di Varsavia conosciuto come Guerra fredda, insieme al successivo emergere sulla scena internazionale del movimento dei paesi non allineati, hanno spesso ridotto i nobili intenti della Dichiarazione a strumento di conflitto politico e ricatto morale, sempre più formali e sempre meno universali.
Rispondono in parte a queste criticità i due patti promulgati a metà degli anni Sessanta: il Patto internazionale sui diritti civili e politici e il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. Presentati nel 1954, adottati nel 1966 ed entrati in vigore dieci anni più tardi, questi documenti tentano infatti da un lato di calare in una realtà concreta i principi della Dichiarazione; dall’altro, li circoscrivono in un contesto storico e geografico effettivo.

MONDO ISLAMICO, OCCIDENTE E DIRITTI UMANI: UNA DIFFICILE CONVERGENZA

Resta tuttavia profonda l’impronta culturale della Dichiarazione, e con essa la difficoltà ad integrarla nei propri principi da parte di società a carattere tradizionale. Non è un caso la resistenza che la maggior parte degli stati con una forte presenza islamica – dove il rapporto dell’individuo con la comunità parentale, religiosa o di villaggio assume spesso un rapporto preminente rispetto a quello con l’entità statuale – hanno mosso alla stessa concezione dell’uomo che dalla Dichiarazione traspare. Una resistenza che negli anni, tuttavia, non si è limitata al muro contro muro, ma che ha anzi portato a tentativi di elaborazione del documento alla luce della shari‘ah. È frutto di questo processo intellettuale interno alle società islamiche l’elaborazione di una Dichiarazione universale islamica dei diritti umani (1981), seguita dalla più nota Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’Islam (1990) e dalla Carta araba dei diritti dell’uomo, elaborata nel 1994 ed emendata nel 2004.
Tentativi e piccoli passi, come è necessario quando si cerchi un incontro e non un conflitto. Tentativi e piccoli passi, in questa inesausta scoperta di che cos’è l’uomo e di come difenderne l’inalienabile dignità.

SITOGRAFIA ESSENZIALE

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