IL CALIFFATO OMAYYADE
È Yazdgard III l’ultimo sasanide a regnare sull’impero. Con la sua morte, avvenuta nel corso di una rapina mentre fuggiva da una città all’altra, cade definitivamente l’impero e inizia un’era nuova, quella del califfato e dell’islamizzazione.
L’islamizzazione, repentina e spesso forzosa, nel giro di una cinquantina d’anni vede imporre l’arabo come lingua ufficiale dei popoli assoggettati, per opera di Al-Hajjaj ibn Yusuf (661-714). Un’imposizione, quella della lingua, cui si affianca lo statuto della dhimma – la protezione offerta ad alcuni gruppi di non-musulmani in cambio di un’alta tassazione – che investe le popolazioni conquistate.
IL CALIFFATO ABBASIDE
L’azione forte e organizzata dei califfi non riesce tuttavia a ottenere il controllo totale dei popoli iranici. Da un lato le rivendicazioni dei mawlā, persiani convertiti (“affrancati”) che vengono tuttavia trattati come sudditi di seconda classe e vessati sul piano fiscale; dall’altro, regioni come il Daylam, il Tabaristan e il Damavand – affacciate sulla costa meridionale del Mar Caspio – che nonostante vari tentativi di invasione restano indipendenti.
Alla morte di Hisham ibn ‘Abd al-Malik, nel 743, la dinastia omayyade mostra la corda, avversata dagli Abbasidi, guidati dal generale Abu Muslim (ca. 700-755). Dopo qualche anno di guerra intestina e instabilità, nel 750 l’esercito abbaside conquista Damasco, nel frattempo divenuta capitale, e il califfo Abu l-Abbas al-Saffah (722-754), incoronato nel novembre precedente, dà l’avvio a un’epoca di prosperità che durerà cinque secoli.