LA CONSERVAZIONE DI UN’IDENTITÀ
Per quanto forzata, o forse proprio perciò, l’islamizzazione del periodo omayyade non porta a convertirsi più di un 10% della popolazione. Nei secoli seguenti, un doppio movimento porta da un lato a una conversione di massa – che si stima raggiungere quasi il 100% entro la fine dell’XI secolo – e dall’altro a conservare e rivitalizzare la lingua e la cultura persiane.
Un ruolo importante in questo processo, noto come Persianizzazione, lo ha il movimento letterario Shu’ubiyya (IX-X secolo), che mettendo in discussione la condizione privilegiata dell’etnia araba riesce a preservare l’identità culturale persiana nel contesto ormai fortemente islamizzato del califfato.
IL POEMA NAZIONALE
È con l’arrivo della dinastia samanide (819-1005) che i frutti di questo movimento sotterraneo arrivano a maturazione. Sotto il loro dominio, infatti, le istanze di rinnovamento culturale dello Shu’ubiyya vengono promosse ad azione di governo, con il ripristino di molte antiche festività persiane e soprattutto con il rilancio dell’antica lingua del popolo.
All’apice di questa rifioritura si staglia lo Shāh-Nāmeh (Libro dei Re), monumentale poema scritto da Firdusi (Hakīm Abū l-Qāsim Ferdowsī Tūsī, 940-1020 ca.). Iniziato sotto la dinastia samanide e terminato sotto i nuovi dominatori Ghaznavidi, il poema conta circa 50 mila distici in cui si narrano le origini mitiche e storiche del popolo e della nazione iranici, fino alla conquista islamica del VII secolo.
Il manoscritto più antico dell’opera in nostro possesso, trovato al Cairo e datato 9 maggio 1217 (30 Moḥarram 614), fu portato in Italia alla fine del XVI secolo dal persianista Gerolamo Vecchietti. Identificato dallo studioso Angelo Piemontese nel 1980, è attualmente conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.