DUE STRADE DIVERGENTI: LE PRIME PERSECUZIONI

Quando nel 1828 i russi sconfiggono i persiani e si appropriano dell’Armenia orientale, il destino delle due regioni armene si avvia per strade divergenti. Se infatti l’Armenia russa approfitta dell’instabilità provocata dalla Rivoluzione del 1917, dichiarando la propria indipendenza il 28 maggio 1918, l’Armenia turca è scenario del primo massacro sistematico su base etnica della storia contemporanea. Sotto l’azione del sultano ottomano Abd ul-Hamid II prima, e del nazionalismo dei Giovani Turchi poi, gli armeni turchi già nel biennio 1895-1896 subiscono i primi massacri, fomentati da alcune spinte autonomiste delle popolazioni armene di area russa e culminati nel pogrom anti-armeno scatenato in reazione all’occupazione dalla Banca Ottomana di Istanbul da parte di alcuni rivoluzionari armeni. Un pogrom che costerà la vita a 50000 persone.

LA NASCITA DEL PIANO

È tuttavia una ventina d’anni più tardi che prende avvio quello oggi conosciuto come genocidio armeno: un piano di pulizia etnica sistematica che affonda le sue radici nel periodo precedente la prima guerra mondiale, quando nell’Impero Ottomano si afferma il governo dei Giovani Turchi (1908). Inizialmente interessati soprattutto a un’opera di modernizzazione in senso laicista dell’Impero, i Giovani Turchi virano presto in direzione di accenti fortemente nazionalisti. In questo senso, delle due grandi minoranze che abitavano le regioni imperiali, quello curdo è più tollerato, perché considerato più facilmente assimilabile. Ben diversa la situazione della comunità armena: distinti sul piano religioso, fieri di una forte cultura millenaria, gli armeni diventano in breve un facile capro espiatorio per l’incipiente disgregarsi dell’Impero.
L’occasione per l’inizio dello sterminio la dà l’entrata in guerra dell’Impero Ottomano a fianco degli Imperi Centrali, il 29 ottobre 1914. Nell’intento di dimostrare la propria fedeltà alla nazione ottomana, infatti, i leader del partito Dashnak, il più forte movimento indipendentista armeno, spingono la comunità a un arruolamento volontario di massa: in poche settimane, 250000 armeni si arruolano così nelle forze armate turche, del tutto ignari di stare consegnandosi a una morte per tradimento. All’inizio del 1915, infatti, una riunione segreta del Comitato di Unione e Progresso delibera di inviare sul fronte caucasico gli arruolati armeni stringendoli alle spalle con una forza speciale. Per assicurarsi che lo sterminio vada a buon fine, viene istituita una speciale commissione, comprendente il segretario esecutivo Nazim, Behaettin Shakir e il Ministro della Pubblica Istruzione, Shoukri, sotto il diretto controllo di Taalat Pascià. Braccio armato della Commissione, la cosiddetta Organizzazione Speciale (Teshkilate Makhsusa), composta di ex detenuti e delinquenti.

IL PRIMO SANGUE VERSATO

All’inizio della primavera 1915 i capi turchi scatenano l’esercito e bande di curdi contro i villaggi armeni. Successivamente, iniziano gli arresti di esponenti politici armeni, accusati di connivenza con il nemico russo. Nel giro di poche settimane decine di migliaia di cristiani vengono imprigionati e sottoposti a torture spaventose: occhi, unghie e denti vengono strappati via con punteruoli roventi e tenaglie, ferri di cavallo piantati ai piedi delle vittime costrette a danzarvi sopra.
Se questo è ciò che accade nei villaggi, la grande Costantinopoli non è da meno: il 24 aprile 1915, nel corso di una gigantesca retata, circa cinquecento esponenti del Movimento Armeno vengono incarcerati e strangolati con filo di ferro, mentre i maggiorenti della città, sono divisi in due gruppi e deportati in Anatolia, da dove in molti non torneranno. Tra loro, intellettuali e scrittori come Daniel Varujan, giornalisti e sacerdoti, spesso sottoposti a torture ancora più atroci a causa della loro funzione. Tra gli uomini di chiesa, il monaco Komitas, padre della etnomusicologia armena che pur sopravvivendo alla prigionia e alla guerra non si riavrà mai più dagli orrori patiti e finirà i suoi giorni in un manicomio di Parigi.

IL GRANDE TRADIMENTO E LA RESISTENZA

Tra il luglio del 1915 e il giugno del 1916 oltre 4000 soldati armeni e circa un terzo degli operai armeni impiegati nella costruzione e manutenzione della linea ferroviaria Berlino-Costantinopoli-Baghdad vengono inviati a tradimento in luoghi appartati e sterminati. Di fronte alle proteste degli alleati tedeschi e austriaci, e all’impassibilità dei capi ottomani, alcuni ufficiali armeni scampati al massacro tentano di organizzare una resistenza.
Nel frattempo, verso l’autunno del 1915, il Ministero degli Interni ottomano aveva già iniziato a pianificare lo sterminio di tutti gli adulti di età superiore ai 45 anni e degli ultimi prelati. Per razionalizzare al massimo l’operazione, la giunta dei Giovani Turchi avvia quindi una deportazione di massa, in modo da concentrare in pochi siti isolati tutti gli armeni ancora in vita e facilitare l’esproprio dei beni immobili armeni. Abbandonata la precedente prassi della distruzione dei villaggi, molti dirigenti del partito dei Giovani Turchi e moltissimi funzionari di polizia e comandanti delle famigerate bande a cavallo curde ebbero modo di arricchirsi proprio in virtù di questi lasciti forzati.

UNA MACCHINA INARRESTABILE

Nonostante l’opposizione di alcuni dei capi ottomani e degli alleati – come l’ambasciatore tedesco Wolf Metternich, che verrà rimosso nel 1916 a causa delle sue proteste – la macchina dello sterminio prosegue nella sua cecità ottusa. Ma poiché nonostante malattie, stenti e vecchiezza, nei campi, “i cristiani infedeli morivano troppo lentamente”, Enver Pascià, Taalat Pascià e Ahmed Gemal decidono nel 1916 di dare un ulteriore giro di vite alla loro politica di sterminio, intimando ai loro governatori e capi di polizia di “eliminare con le armi, ma se possibile, con mezzi più economici, tutti i sopravvissuti dei campi siriani e anatolici”.
In questa seconda fase del massacro ha modo di distinguersi la fantasia crudele di un tale Zekki come ricorderà nel suo rapporto il visconte James Bryce. In questa atroce gara di zelo, i morti cominciano a contarsi a manciate di migliaia per caso, mentre nelle regioni orientali e settentrionali dell’Impero, l’improvviso ritiro dei russi in seguito alla rivoluzione bolscevica del 1917, rimette gli armeni lì rifugiati tra le mani di una spietata caccia all’uomo. Identica sorte è quella che tocca ai profughi rifugiatisi in Georgia e nella regione del Caspio di Baku, massacrati dalle locali minoranze musulmane tartare e cecene.

LA FINE DELL’ORRORE

Con il crollo della Sublime Porta ormai imminente, i responsabili turchi delle stragi abbandonano il campo facendo perdere le proprie tracce. Così, quando nell’ottobre 1918 la Turchia si arrende alle forze dell’Intesa, le menti più crudeli e lucide dell’olocausto possono soltanto essere condannate in contumacia. La loro morte è triste come sempre è la morte degli uomini soli e pazzi. Il 15 marzo 1921, Taalat Pascià viene assassinato a Berlino da uno studente armeno, Soghomon Tehlirian; la stessa sorte tocca un anno dopo, il 21 luglio 1922, ad Ahmed Gemal, ucciso a Tbilisi, in Georgia, da un altro giovane armeno. Enver Pascià, infine, rifugiatosi tra le tribù turche della remota regione asiatica centrale di Bukhara, muore a capo di una rivolta turco-musulmana contro il potere sovietico. Circondato con il suo piccolo esercito da un reparto bolscevico, viene ucciso il 4 luglio 1922.

IL GRANDE SILENZIO

Con la morte di Enver tramonta per sempre il progetto nazionalista e razzista che oltre a trascinare la Turchia nel disastro del Primo Conflitto, ha contribuito a riaccendere l’atavico e mai sopito odio della popolazione turca nei confronti della minoranza armena cristiana. A distanza di tanti anni l’esatto numero di morti è ancora controverso, le fonti turche tendono a minimizzare la cifra e il governo turco continua tutt’oggi a rinnegare il genocidio.
Non è tuttavia il numero dei morti, il vero problema di Ankara, ma la forza delle parole e della verità che portano. È la parola genocidio, il problema. Perché un genocidio è altra cosa da migliaia di assassinii: è l’assassinio di una categoria umana; l’assassinio di un pezzo di mondo colpevole soltanto di esistere.